Udine.
8 Aprile 2014.
Mattina.
Teatro Nuovo Giovanni da Udine.
“Magazzino 18”, di Simone Cristicchi.
Mille studenti attendono l’ingresso a teatro.
C’è un’aria strana.
Polizia.
Carabinieri.
In borghese e non.
Persone poste fuori dall’ingresso del teatro distribuiscono volantini.I ragazzi si presentano alle maschere in ingresso con in mano il biglietto dello spettacolo e questi volantini, stampati con prepotenti caratteri cubitali neri che spiccano sullo sfondo bianco del foglio.
I volantini inneggiano alla resistenza sostenendo che lo spettacolo in questione altro non è che “propaganda fascista” oltre a essere un atto di “disinformazione revisionista”. “Le foibe non esistono” continuano le scritte su questi volantini, anzi, sono “un mito” e sostengono addirittura che “la foiba di Basovizza è un falso storico”.
Ma facciamo un passo indietro.
Il 22 Ottobre 2013 lo spettacolo “Magazzino 18” di Simone Cristicchi, per intenderci quel cantante che voleva cantare come Biagio Antonacci, debutta al teatro Stabile di Trieste. Lo spettacolo è da subito sulle prime pagine di tutti i giornali non tanto per lo spettacolo in sé per sé, ma soprattutto per le polemiche che ha suscitato. Anziché polemiche io parlerei di vere e proprie proteste, anzi protestone di natura storico - politica, mica caramelle.
Ma perchè?
La piecè teatrale che porta in scena Cristicchi parla di una scarsamente frequentata pagina della storia italiana, ovvero delle foibe, ma non solo: il cantautore romano, infatti, racconta, in veste di archivista del Ministero degli Interni, anche dell’esodo di 350.000 italiani istriani e dalmati, che scelsero, dopo il 1947, di lasciare le loro terre natali destinate a divenire jugoslave e proseguire la loro vita in Italia. Il racconto prosegue poi con il contro-esodo dei monfalconesi e con le vicende dei cosiddetti “rimasti”.
L’argomento è scottante e delicato, forse fin troppo scomodo, per cui le proteste si sono fatte subito sentire: Cristicchi viene accusato di mistificare la realtà storica, di propaganda anti-partigiana e di mettere in cattiva luce -per usare un eufemismo- la lotta di liberazione jugoslava, non riservandole il giusto merito per aver aiutato nella lotta contro il fascismo.
La domanda che sorge spontanea è perchè un ragazzo romano, anche se interprete di spettacoli con forte impatto civile e sociale (ha dato i natali al monologo “Li Romani in Russia” che racconta, attraverso chi l’ha vissuta, la Campagna di Russia del 1941-43 e che ha ideato un documentario sugli ex manicomi) si interessa alle vicende della Venezia Giulia?
Simone, guardando un video sul canale Youtube e leggendo il volume “Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani” di Bernas, divenuto poi coautore dello spettacolo, e visitando, successivamente Trieste e il Magazzino 18, è rimasto colpito dalla storia degli Italiani di Istria e di Dalmazia che hanno abbandonato le loro terre, le loro case in un esodo durato anni e, capendo l’importanza storica dei fatti e ammettendo di non conoscere queste vicende, ha voluto ripercorrere le loro tappe a partire dagli oggetti privati che gli esuli hanno lasciato dietro di sé.
Lo spettacolo prende nome e luogo all’interno di un magazzino del Porto Vecchio di Trieste, il numero 18, dove gli esuli – senza casa e spesso prossimi ad affrontare lunghi periodi in campo profughi o viaggi verso lontane mete – lasciavano le loro proprietà, in attesa di poterne in futuro rientrare in possesso e dove Cristicchi, nei panni di un archivista, giunge con il compito di inventariare gli oggetti contenuti in questo immenso magazzino. La catalogazione inizia da una sedia, accatastata assieme a tante altre, che porta scritto un nome, un numero e la scritta “Servizio Esodo”. Molti sono gli oggetti da catalogare: sedie, tavoli, una chitarra, valige, giocattoli e così via, tutti oggetti della quotidianità, tutti oggetti lasciati dagli esuli.
La noia, il disinteresse e anche l’arrabbiatura iniziale per quel lavoro assegnatogli da eseguire, tra l’altro, in estrema velocità, lasciano gradualmente il posto alla consapevolezza di ritrovarsi di fronte non a oggetti, a cose, ma a persone, a uomini e donne reali, ognuno caratterizzato dalla propria personale storia. Perchè sono proprio gli oggetti che accompagnano lo scorrere della vita di ognuno: uno scorrere improvvisamente interrotto dalla Storia, dall’esodo.
Per raccontare queste vicende durante le quasi 2 ore di spettacolo Cristicchi cambierà ripetutamente toni, personaggi, assumerà dialetti diversi e diversi costumi di scena, musiche e canzoni, accompagnato dall’orchestra dei “Sinfonici del Friuli Venezia Giulia” e coadiuvato dal coro di bambini “StarTs Lab”. La scenografia è essenziale, ma efficace e sullo sfondo, in taluni momenti, compaiono anche filmati e fotografie. È da dire, inoltre, come Cristicchi con il suo “Magazzino 18” abbia creato una nuova forma di spettacolo che è stata chiamata “Musical- Civile”.
Ebbene sì, un nuovo modo di fare spettacolo o un nuovo modo di fare storia, si può vedere in uno, nell’altro o in entrambi i modi la creazione teatrale di Simone Cristicchi, che, grazie ai racconti delle singole vicende di persone vere, fa capire la grande Storia e fa sentire lo spettatore parte non solo della storia narrata sul palcoscenico, ma della vera e propria Storia, quella con la S maiuscola, cosa che, diciamolo, non accade poi così spesso. Il più delle volte, infatti, si considera la storia semplicemente come materia, talvolta anche noiosa, da leggere e studiare e non si riesce a comprendere facilmente che quello che c’è scritto nei manuali è accaduto e sta accadendo nel mentre della vita e non in una dimensione temporale distaccata dal quotidiano. La storia è parte del quotidiano, è quotidiano e questo Cristicchi lo fa comprendere bene perchè racconta di vite, fatti e non elenca solamente aride date e numeri.
L’ambientazione, come già accennato, è semplice, ma eclettica, in un attimo si passa dall’interno del Magazzino 18 a l’evocazione di una spiaggia per poi passare all’interno di un vagone ferroviario, Cristicchi da voce a tanti personaggi diversi, aiutato anche dai filmati e dalle fotografie in bianco e nero che vengono proiettate sullo sfondo buio della scena, un po’ come al cinema. Straziante è il primo piano di una bambina che si scopre, poi, essere morta di freddo nel campo profughi di Padriciano, toccante è il racconto di Domenico, staffetta del Regio Esercito, gettato in una foiba ancora vivo assieme ad altri o di Norma, vittima di atroci violenze, o del medico che non abbandonò il suo lavoro in ospedale nonostante i suoi figli fossero rimasti vittime di un’esplosione di ordigni considerati inattivi sulla spiaggia di Pola, ma che abbondonò la città per non voler un giorno ritrovarsi a curare gli assassini dei suoi figlioletti e ci si stupisce, proprio per quanto detto sopra, di quando Cristicchi archivista fa nomi e cognomi di esuli divenuti, poi, molto noti (cita, ad esempio, Uto Ughi e Alida Valli).
Io lo spettacolo l’ho visto e mi ha veramente toccato nel profondo, come poche rappresentazioni teatrali hanno fatto fin ora, ma mi ha fatto anche molto pensare, portandomi a chiedere per quale motivo abbia suscitato tanto scandalo e tante reazioni negative, tanto da allertare così numerose e differenti forze dell’ordine. E, in questo contesto, la domanda che fin da subito mi sono posta è stata: queste persone che protestano e criticano hanno visto lo spettacolo?
A mio modesto parere la risposta è no.
Se avessero assistito alla rappresentazione avrebbero capito che lo spettacolo non è politicizzato, né politicizzante, che il racconto non propende da una parte o dall’altra, che si parla indistintamente di tutte le vittime: Cristicchi racconta sì delle foibe, ma anche della risiera di San Sabba e del campo di concentramento che era presente a Gonars.
Se avessero visto lo spettacolo avrebbero capito che il messaggio che si vuole trasmettere è quello di non dimenticare ciò che è accaduto, di non dimenticare quello che le persone hanno subito. Se queste persone piene di pregiudizi avessero visto lo spettacolo di sicuro le critiche sarebbero state più costruttive e non solo meri slogan stampati su foglietti sgualciti. Se queste persone avessero visto lo spettacolo sarebbero uscite dalla sala con il cuore e gli occhi gonfi di pianto, di tristezza e di amarezza, colpiti dalle musiche, dai canti e dalla scena. Se queste persone avessero assistito alla rappresentazione renderebbero merito a questo cantautore, di certo impegnato, che vuole far conoscere agli Italiani parte della loro Storia che per troppo tempo è rimasta (volutamente?) taciuta e sconosciuta. E do ragione a Cristicchi-archivista quando dice, in scena, “io un po’ mi vergogno di non aver saputo prima”.
In conclusione devo dire che mi dispiaccio per l’ignoranza di quelle persone che hanno voluto criticare lo spettacolo senza nemmeno entrare a teatro perché, grazie al loro sputare sentenze senza informarsi e senza volersi informare, si sono perse, oltre a un bello spettacolo, anche la possibilità di venire a conoscenza di fatti assolutamente non noti ai più raccontati in un contesto e in una maniera totalmente nuova. E non credo affatto, come invece fanno molti, che la pretesa di Simone Cristicchi fosse quella di tenere una lezione o di fare propaganda alla destra o alla sinistra, distinzione al giorno d’oggi un po’ nebbiosa e oramai inutile, ma l’intento, sono certa, era quello di emozionare gli spettatori per far sì che, una volta arrivati a casa, fossero desiderosi di conoscere, sapere e approfondire questo tema, sicuramente poco noto, purtroppo, anche a noi che viviamo a due passi e che, magari, frequentiamo abitualmente i luoghi in questione.
Ma d’altronde, si sa, criticare è sempre la via più semplice.
Valentina Gonano