La grande aurora boreale del 1938 in Friuli

Tra i molti racconti di vita e di Storia ascoltati dalla voce dei nonni materni c’è n’è uno che mi è rimasto particolarmente impresso, relativo a ciò che essi videro nel cielo del Friuli nella tarda serata di Martedì 25 Gennaio 1938: la più grande aurora boreale che si sia manifestata in epoca moderna alle nostre latitudini.
“Dopo cena, a Ponente e sopra di noi il cielo si fece di un rosso molto intenso, come se alle spalle del Monte di Ragogna si fosse sviluppato un enorme incendio. Lo fendevano ampi fasci di luce, dai colori simili a quelli dell’arcobaleno e così potenti da illuminare la notte, come al chiaro di Luna. Le stelle brillavano in modo straordinario e ci sembravano molto più vicine. Il fenomeno si protrasse a lungo, suscitando in noi profonda ammirazione ed altrettanto turbamento. In strada, nei cortili e nelle case era opinione diffusa che quell’improvviso, misterioso e grandioso evento celeste fosse il presagio di una prossima sventura”.

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Giovanni Boccaccio: “Decamerone”, giornata X novella V

DECIMA GIORNATA – NOVELLA QUINTA

Madonna Dianora domanda a messer Ansaldo un giardino di gennaio bello come di maggio. Messer Ansaldo con l’obligarsi ad uno negromante gliele dà. Il marito le concede che ella faccia il piacere di messer Ansaldo, il quale, udita la liberalità del marito, l’assolve della promessa, e il nigromante,senza volere alcuna cosa del suo, assolve messer Ansaldo.
Per ciascuno della lieta brigata era già stato messer Gentile con somme lode tolto infino al cielo, quando il re impose ad Emilia che seguisse, la qual baldanzosamente, quasi di dire disiderosa, così cominciò: «Morbide donne, niun con ragione dirà messer Gentile non aver magnificamente operato, ma il voler dire che più non si possa, il più potersi non fia forse malagevole a mostrarsi; il che io avviso in una mia novelletta di raccontarvi”.

In Frioli, paese, quantunque freddo, lieto di belle montagne, di più fiumi e di chiare fontane, è una terra chiamata Udine, nella quale fu già una bella e nobile donna, chiamata madonna Dianora, e moglie d’un gran ricco uomo nominato Gilberto, assai piacevole e di buona aria. E meritò questa donna per lo suo valore d’essere amata sommamente da un nobile e gran barone, il quale aveva nome messer Ansaldo Gradense, uomo d’alto affare, e per arme e per cortesia conosciuto per tutto. Il quale, ferventemente amandola e ogni cosa faccendo che per lui si poteva per essere amato da lei, e a ciò spesso per sue ambasciate sollicitandola, invano si faticava. Ed essendo alla donna gravi le sollicitazioni del cavaliere, e veggendo che, per negare ella ogni cosa da lui domandatole, esso per ciò d’amarla né di sollicitarla si rimaneva, con una nuova e al suo giudicio impossibil domanda si pensò di volerlosi torre da dosso. E ad una femina che a lei da parte di lui spesse volte veniva, disse un dìcosì: - Buona femina, tu m’hai molte volte affermato che messer Ansaldo sopra tutte le cose m’ama e maravigliosi doni m’hai da sua parte proferti, li quali voglio che si rimangano a lui, per ciò che per quegli mai ad amar lui né a compiacergli mi recherei; e se io potessi esser certa che egli cotanto m’amasse quanto tu di’, senza fallo io mi recherei ad amar lui e a far quello che egli volesse; e per ciò, dove di ciò mi volesse far fede con quello che io domanderò, io sarei a’ suoi comandamenti presta. Disse la buona femina: - Che è quello, madonna, che voi disiderate che el faccia?

Il giardino incantato
Marie Spartali Stillman, «Il giardino incantato di Messer Ansaldo» (1889)

Rispose la donna: - Quello che io disidero è questo. Io voglio del mese di gennaio che viene, appresso di questa terra un giardino pieno di verdi erbe, di fiori e di fronzuti albori, non altrimenti fatto che se di maggio fosse; il quale dove egli non faccia, né te né altri mi mandi mai più; per ciò che, se più stimolasse, come io infino a qui del tutto al mio marito e a’ miei parenti tenuto ho nascoso, così dolendomene loro, di levarlomi da dosso m’ingegnerei. Il cavaliere, udita la domanda e la proferta della sua donna, quantunque grave cosa e quasi impossibile a dover fare gli paresse e conoscesse per niun’altra cosa ciò essere dalla donna addomandato, se non per torlo dalla sua speranza, pur seco propose di voler tentare quantunque fare se ne potesse; e in più parti per lo mondo mandò cercando se in ciò alcun si trovasse che aiuto o consiglio gli desse; e vennegli uno alle mani il quale, dove ben salariato fosse,per arte nigromantica profereva di farlo. Col quale messer Ansaldo per grandissima quantità di moneta convenutosi, lieto aspettò il tempo postogli. Ilqual venuto, essendo i freddi grandissimi e ogni cosa piena di neve e di ghiaccio, il valente uomo in un bellissimo prato vicino alla città con sue arti fece sì, la notte alla quale il calen di gennaio seguitava, che la mattina apparve,secondo che color che ‘l vedevan testimoniavano, un de’ più be’ giardini che mai per alcun fosse stato veduto, con erbe e con alberi e con frutti d’ogni maniera. Il quale come messere Ansaldo lietissimo ebbe veduto, fatto cogliere de’ più be’ frutti e de più be’ fior che v’erano, quegli occultamente fe’ presentare alla sua donna, e lei invitare a vedere il giardino da lei addomandato, acciò che per quel potesse lui amarla conoscere, e ricordarsi della promission fattagli e con sacramento fermata, e come leal donna poi procurar d’attenergliele. La donna, veduti i fiori e’ frutti, e già da molti del maraviglioso giardino avendo udito dire, s’incominciò a pentere della sua promessa. Ma, con tutto il pentimento, sì come vaga di veder cose nuove, con molte altre donne della città andò il giardino a vedere, e non senza maraviglia commendatolo assai, più che altra femina dolente a casa se ne tornò, a quel pensando a che per quello era obbligata. E fu il dolore tale, che non potendol ben dentro nascondere, convenne che, di fuori apparendo, il marito di lei se n’accorgesse,e volle del tutto da lei di quello saper la cagione. La donna per vergogna il tacque molto; ultimamente, costretta, ordinatamente gli aperse ogni cosa.
Gilberto primieramente, ciò udendo, si turbò forte; poi, considerata la pura ìntenzion della donna, con miglior consiglio, cacciata via l’ira. disse: - Dianora, egli non è atto di savia né d’onesta donna d’ascoltare alcuna ambasciata delle così fatte né di pattovire sotto alcuna condizione con alcuno la sua castità. Le parole per gli orecchi dal cuore ricevute hanno maggior forza che molti non stimano, e quasi ogni cosa diviene agli amanti possibile. Male adunque facesti prima ad ascoltare e poscia a pattovire; ma per ciò che io conosco la purità dello animo tuo, per solverti dal legame della promessa,quello ti concederò che forse alcuno altro non farebbe; inducendomi ancora la paura del nigromante, al qual forse messer Ansaldo, se tu il beffassi, far farebbe dolenti. Voglio io che tu a lui vada, e, se per modo alcun puoi,t’ingegni di far che, servata la tua onestà, tu sii da questa promessa disciolta;dove altramenti non si potesse, per questa volta il corpo, ma non l’animo, gli concedi.
La donna, udendo il marito, piagneva e negava sé cotal grazia voler da lui. A Gilberto, quantunque la donna il negasse molto, piacque che così fosse. Perché, venuta la seguente mattina, in su l’aurora, senza troppo ornarsi, con due suoi famigliari innanzi e con una cameriera appresso, n’andò la donna a casa messere Ansaldo. Il quale, udendo la sua donna a lui esser venuta, si maravigliò forte, elevatosi e fatto il nigromante chiamare, gli disse: - Io voglio che tu vegghi quanto di bene la tua arte m’ha fatto acquistare -. E incontro andatole, senza alcun disordinato appetito seguire, con reverenza onestamente la ricevette, e in una bella camera ad un gran fuoco se n’entrar tutti; e fatto lei porre a seder,disse: - Madonna, io vi priego, se il lungo amore il quale io v’ho portato merita alcun guiderdone, che non vi sia noia d’aprirmi la vera cagione che qui a così fatta ora v’ha fatta venire e con cotal compagnia. La donna, vergognosa e quasi con le lagrime sopra gli occhi, rispose: -Messere, né amor che io vi porti né promessa fede mi menan qui, ma il comandamento del mio marito; il quale, avuto più rispetto alle fatiche del vostro disordinato amore che al suo mio onore, mi ci ha fatta venire; e per comandamento di lui disposta sono per questa volta ad ogni vostro piacere.
Messer Ansaldo, se prima si maravigliava, udendo la donna molto più s’incominciò a maravigliare; e dalla liberalità di Gilberto commosso, il suo fervore in compassione cominciò a cambiare, e disse: - Madonna, unque a Dio non piaccia, poscia che così è come voi dite, che io sia guastatore dello onore di chi ha compassione al mio amore; e per ciò l’esser qui sarà, quanto vi piacerà, non altramenti che se mia sorella foste, e, quando a grado vi sarà, liberamente vi potrete partire, sì veramente che voi al vostro marito di tanta cortesia, quanta la sua è stata, quelle grazie renderete che convenevoli crederete, me sempre per lo tempo avvenire avendo per fratello e per servidore.
La donna, queste parole udendo, più lieta che mai, disse: - Niuna cosa mi potè mai far credere, avendo riguardo a’ vostri costumi, che altro mi dovesse seguir della mia venuta che quello che io veggio che voi ne fate, di che io vi sarò sempre obbligata -; e preso commiato, onorevolmente accompagnata si tornò a Gilberto e raccontogli ciò che avvenuto era; di che strettissima e leale amistà lui e messer Ansaldo congiunse. Il nigromante, al quale messer Ansaldo di dare il promesso premio s’apparecchiava, veduta la liberalità di Gilberto verso messer Ansaldo e quella di messer Ansaldo verso la donna, disse: - Già Dio non voglia, poi che io ho veduto Gilberto liberale del suo onore e voi del vostro amore, che io similmente non sia liberale del mio guiderdone; e per ciò, conoscendo quello voi star bene, intendo che vostro sia. Il cavaliere si vergognò e ingegnossi a suo potere di fargli o tutto o parte prendere; ma poi che in vano si faticava,avendo il nigromante dopo il terzo dì tolto via il suo giardino, e piacendogli dipartirsi, il comandò a Dio; e spento del cuore il concupiscibile amore verso la donna, acceso d’onesta carità si rimase. Che direm qui, amorevoli donne? Preporremo la quasi morta donna e il già rattiepidito amore per la spossata speranza, a questa liberalità di messer Ansaldo, più ferventemente che mai amando ancora e quasi da più speranza acceso e nelle sue mani tenente la preda tanto seguita? Sciocca cosa mi parrebbe a dover creder che quella liberalità a questa comparar si potesse.

Philotimo, ovvero ricominciamo dai greci

L’idea di andare ad Atene non come turisti, non più come studenti in gita, ma come volontari con la Caritas, è stato un approdo.
Da qualche anno, nel liceo in cui insegno, la quasi totalità delle classi quinte sceglie la Grecia come meta del viaggio di istruzione, coniugando, in itinerari non convenzionali, aspetti storici, culturali e naturali che spaziano nel tempo e permettono un confronto con la nostra cultura e la società in cui viviamo.
In tempi di crisi, viene anche proposto come viaggio solidale.
La bravura delle nostre guide rende questi viaggi speciali, un vero percorso anche esistenziale sul quale poter lavorare e riflettere in seguito a scuola. Continua a leggere Philotimo, ovvero ricominciamo dai greci

Antonio Andreuzzi e i moti friulani del 1846

Nell’anno in corso l’attenzione degli storici, degli organizzatori di eventi e, in genere, di chi intende mantenere viva la memoria storica si sta focalizzando di preferenza, per ovvi motivi, sulla Prima guerra mondiale. Tuttavia, un evento di tale portata non deve oscurarne altri (certo assai meno rilevanti nel lungo periodo, ma non per questo scarsamente significativi e interessanti). Occorre ricordare, ad esempio, il 150º dei Moti friulani messi a punto dal Partito d’Azione nel 1863 e realizzati nel 1864, tre anni dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Il 2014 segna nel contempo il 210º della nascita e il 140º della morte del loro principale animatore: il dottor Antonio Andreuzzi, capo del Comitato d’Azione in Friuli, nativo di Navarons (presso Meduno, provincia di Pordenone), affiliato alla Giovine Italia e figura di spicco della massoneria risorgimentale, fraternamente vicino a patrioti eminenti fra cui, innanzitutto, Mazzini (dal quale assimilò l’idea che a raggiungere l’unità nazionale non dovevano essere né eserciti stranieri né giochi diplomatici, ma gli Italiani: si tratta di un concetto centrale per comprendere e inquadrare correttamente i Moti del 1864) e Garibaldi (che Andreuzzi addirittura visitò all’isola di Caprera nel dicembre 1864), i quali ne esaltarono sovente le virtù; ma si possono altresì ricordare Silvio Pellico, Piero Maroncelli, Ciro Menotti, Pier Fortunato Calvi, Benedetto Cairoli con tutta la sua famiglia e numerosi altri, italiani e no. Continua a leggere Antonio Andreuzzi e i moti friulani del 1846

Nel Vocabolario dei lussini le parole portate dal mare

L’inno A Lussino, eseguito dal coro di voci femminili “Vittorio Craglietto”, ha aperto sabato 14 giugno 2014 a Lussinpiccolo, nell’affollatissimo anfiteatro della Biblioteca Civica, la presentazione del Piccolo vocabolario imperfetto della parlata dei Lussini, edito dalla locale Comunità Italiana con il contributo del Ministero degli Affari Esteri di Roma.

Sempre piena de sol, de splendori / xe Lussin che se specia nel mar / xe un’ebrezza l’odor dei so fiori / El so limpido ciel fa incantar // Come un lago el so porto xe quieto, / qua le barche in riposo le sta. / O paese dal sol bendeto, / ti la gioia nell’aria ti ga // Le to picie casete i to orti / mete un senso de pase nel cor. / El to clima resuscita i morti / le to done risvela l’amor.

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“Magazzino 18”: la storia delle foibe, ovvero la protesta ignorante

Udine.
8 Aprile 2014.
Mattina.
Teatro Nuovo Giovanni da Udine.
“Magazzino 18”, di Simone Cristicchi.
Mille studenti attendono l’ingresso a teatro.
C’è un’aria strana.
Polizia.
Carabinieri.
In borghese e non.
Persone poste fuori dall’ingresso del teatro distribuiscono volantini. Continua a leggere “Magazzino 18”: la storia delle foibe, ovvero la protesta ignorante

L’occhio della biglia (a Giorgio Celiberti)

Udine, 20 novembre 1939.

L’inverno non era ancora inverno, perlomeno sul lunario appeso al muro.
Era novembre, ma un novembre freddo, coi rami degli alberi gelati e la galaverna che al mattino ricamava geografie di ghiaccio sui vetri delle finestre , intente a ingaggiare battaglia contro i fendenti di bora e le lame di tramontana che soffiavano in raffiche furiose, abrasive come polvere di vetro sulla pelle delle guance o delle mani.
Immobile accanto alla finestra, Giorgio guardò giù, verso la strada. Continua a leggere L’occhio della biglia (a Giorgio Celiberti)

Villotta? Sipario!

La villotta è sempre stata considerata una tra le espressioni più significative della musica e della tradizione popolari: cantata, armonizzata e ballata nelle sagre, nelle feste paesane, in quei Fogolârs dove sembra farsi memoria delle cose un po’ antiche. E oggi, dove tutto viaggia sui social network, a frasi non più lunghe di 160 caratteri, la villotta sembra esibire con vergognoso pudore una patina di desuetudine, di vecchia stanchezza, di roba di altri tempi. Continua a leggere Villotta? Sipario!

“Te flùima de vita / Nella fiumana della vita”, poesie di Giovanni Maria Basso

A proposito dell’arte di poetare e dello scrivere in versi, gli antichi latini sentenziavano, saggiamente che “Versus non dant panem”, come a dire che non si vive di sola poesia. E dunque, nonostante questo, ed anzi proprio per questo, il nostro Autore ha perseverato nel suo intento poetico, e dal 1975 al 2010 ha seguitato a stilare almeno trecento composizioni poetiche in friulano, nella variante cividina. Di queste, 282 sono state raccolte in volume, con relativa traduzione in italiano, a cura di Fausto Zof, con illustrazioni di Ivaldi Calligaris ed Anna Degenhardt. L’antologia, un vero e proprio corpus della produzione di Basso, è stata edita per merito dell’Istituto Achille Tellini di Manzano nel 2011. Un bel traguardo, i tanti saggi poetici; e premia la costanza dell’Autore che ha sempre mantenuto la freschezza della sua vena poetica e la riservatezza umana di personaggio schietto e sincero, come lo è il suo mondo interiore ed il suo proporsi genuino, proprio perchè ha privilegiato il linguaggio della variante friulana del cividino di Orsaria. Il suo maestro e critico è stato il professor Gianfranco D’Aronco che, per così dire, ha avuto l’intuizione ed il merito di scoprirne il mondo poetico, il linguaggio spontaneo ma efficace, elegante ma non di maniera, capace di esprimere sentimenti nascosti, sensazioni profonde, partecipazione umana al comune sentire, nella serenità e nel dolore dei suoi simili. Senza dover utilizzare falsi, barocchi contorsionismi letterari. Il nostro ha saputo ricorrere saggiamente al vocabolario scabro ed immediato della sua lingua nativa, che gli è stata sempre congeniale, familiare, come lo è il suo conversare pacato, riflessivo, misurato, discreto, mai sopra le righe. Il suo sentire poetico raggiunge così l’espressione genuina che conquista il cuore e l’anima del lettore. Le sue riflessioni toccano l’amicizia e la fede, il dolore taciuto ed il ricordo di tempi andati, i personaggi femminili e le allegre brigate, lo scorrere infine della fiumana della vita, delle comuni vicende universali della moltitudine umana.

Nino Rodaro

“Yossl Rakover si rivolge a Dio” di Zvi Kolitz

Con l’avvicinarsi della XXV Giornata di Amicizia Ebraico Cristiana (anticipata quest’anno al 16 gennaio, per dare modo anche ai fratelli Ebrei di potervi partecipare, in quanto cadendo il 17 gennaio di venerdì, nel pomeriggio/sera già accolgono la Festa del Sabato), presentiamo un libriccino davvero “esile”: perché «Yossl Rakover si rivolge a Dio» nell’attuale versione a stampa (Adelphi) conta poco più di 18 paginette. Continua a leggere “Yossl Rakover si rivolge a Dio” di Zvi Kolitz