Il generalissimo Suvòrov in Friuli

Nella primavera del 1799 il destino condusse in terra friulana colui che ancor oggi è considerato il più grande comandante dell’intera storia militare russa, il “generalissimo” Aleksandr Vasil’evič Suvòrov, a quel tempo alla guida del corpo di spedizione imperiale inviato in Italia dallo zar Paolo I per combattere le truppe napoleoniche, al fianco di quelle austriache.
In pochi avrebbero creduto che quel bambino dal fisico piuttosto gracile, nato a Mosca il 24 Novembre del 1729 da un’agiata famiglia di lontane origini svedesi potesse diventare un comandante invitto, destinato a coprirsi di fama in Russia ed in tutta Europa.

Adolph Charlemagne (1826-1901), “Suvòrov al Passo del San Gottardo”, olio su tela, 1855.
Adolph Charlemagne (1826-1901), “Suvòrov al Passo del San Gottardo”, olio su tela, 1855.

In realtà il suo destino si poteva almeno in parte già intravedere sia nel fatto di essere figlio di un generale, il papà Vasilij, senatore e figlioccio nientemeno che di Pietro il Grande, che dall’esser stato chiamato Aleksandr in onore di Aleksandr Nevskij, principe di Nòvgorod, straordinaria figura della storia russa e medioevale, santo della Chiesa Ortodossa, vincitore sia degli svedesi nel 1240 che dei famigerati cavalieri teutonici, nella memorabile battaglia sul ghiaccio del Lago dei Ciudi (o Peipus), al confine tra Estonia e Russia, il 5 Aprile del 1242.
Alimentato dalle letture dei molti libri dell’ampia biblioteca del papà, fin dalla tenera età Suvòrov manifestò un grande interesse per la storia e la strategia militare. A 15 anni l’inizio di una sfolgorante carriera “in divisa”: dalla porta principale, come moschettiere del Reggimento Semiònovskij, reparto d’elite della Guardia imperiale, istituito dallo zar Pietro il Grande nel 1691.
Nel 1756 il battesimo al fronte, nella “Guerra dei sette anni” contro i prussiani. Da principio nelle retrovie, poi in prima linea, assieme a dragoni, ussari e cosacchi.
L’avvento al trono di tutte le Russie della zarina Caterina II ovvero “La Grande” (12 Settembre 1762) coincide con un’ulteriore accelerazione della carriera del già colonnello Suvòrov, che nel Maggio del 1769 guida i reggimenti russi in Polonia per reprimere la rivolta dei nobili polacchi riuniti nella cosiddetta “Confederazione di Bar” contro Stanislao Poniatowskij, il sovrano locale filorusso. Le ripetute vittorie, tra le quali la presa del castello di Cracovia, gli valgono i primi prestigiosi riconoscimenti, ovvero gli Ordini di Sant’Anna e di San Giorgio, quest’ultimo ancor oggi patrono dell’esercito russo e della città di Mosca.
Rientrato in Patria, dopo un periodo trascorso in Finlandia per sovrintendere la costruzione di importanti fortificazioni a difesa delle frontiere imperiali, Suvòrov affronta una nuova grande sfida con uno dei più acerrimi e pericolosi rivali della Russia nei Balcani ed attorno al Mar Nero, ovvero l’impero turco-ottomano, protagonista dal 1568 al 1918 di ben 12 guerre contro Mosca.
Il colonnello è protagonista nella 5ª guerra, il cui esito consentì alla Russia di conquistare definitivamente l’Ucraina meridionale, il Caucaso settentrionale e sostanzialmente anche la Crimea, ed ancor di più nella 6ª, nata dal tentativo turco di riprendere il controllo su quest’ultimo Canato.
Seppur più volte ferito, assieme alle truppe austriache sue alleate, Suvòrov inanella infatti una serie di memorabili vittorie a Kinburn (Ottobre 1787), a Focşani (Romania, Luglio 1789) e poi sulle rive del fiume Rimnik (Settembre 1789), impreziosite dalla conquista (Dicembre 1790) dell’importante fortezza di Ismaïl sul delta del Danubio in Bessarabia, costruita dal famoso ingegnere militare francese Vauban e ritenuta fino ad allora inespugnabile.
A guerra conclusa, la necessità di consolidare le posizioni conquistate fa anche sì che Suvòrov diventi il fondatore nel 1792 della città di Tiraspol, attuale capitale della repubblica secessionista e di fatto indipendente della Transnistria o Pridnestrovje, una sottile striscia di terra abitata da popolazione tenacemente russofona che il fiume Dnestr (o Nistru) divide dalla molto più filorumena Moldavia.
Esaurita l’epopea delle battaglie contro i turchi, nel destino di Suvòrov c’è ancora la Polonia. Nell’autunno del 1794, a lui viene infatti affidato il compito di reprimere l’insurrezione guidata da Tadeusz Kosciuszko. In questa circostanza è inflessibile: attacca duramente Varsavia e costringe alla resa il nemico, infliggendo gravi perdite anche tra i civili, solo in parte compensate dall’ampia amnistia da lui concessa ai prigionieri. Gli vengono consegnate le chiavi della città e la zarina Caterina lo nomina feldmaresciallo, la carica più elevata dell’esercito imperiale russo.
All’apice del successo ecco però la morte di Caterina (16 novembre 1796) e l’ascesa al trono dello zar Paolo I, fanatico sostenitore delle teorie militari prussiane, deciso ad applicarle anche all’esercito russo, contro il parere di Suvòrov, che ben presto s’inimicò il sovrano. Al punto tale che nel febbraio del 1797 viene destituito da ogni incarico e di fatto costretto al confino nella sua casa di campagna nella provincia di Nòvgorod. Anche la sua corrispondenza viene sottoposta a censura.
Pare la fine della sua gloria. Vive solo, modestamente, immerso nella lettura, nel canto e nella preghiera. Nel Febbraio successivo, uno scambio di lettere con lo zar è però sufficiente per ottenere il “perdono” e ritornare ad essere protagonista. La Russia ed i suoi alleati nella Seconda Coalizione Antifrancese hanno infatti nuovamente bisogno di Suvòrov per liberare l’Italia Settentrionale, ovvero la Repubblica Cisalpina, dal dominio napoleonico. Austria ed Inghilterra chiedono che sia lui il comandante delle forze alleate impegnate nella campagna.
Dopo l’incontro con l’imperatore Francesco II a Vienna, ecco, ai primi di aprile del 1799, l’ingresso nel Friuli diventato austriaco dopo la firma del Trattato di Campoformido (17 ottobre 1797). Da Tarvisio, alla testa di un corpo di spedizione di oltre 20.000 uomini, tra fanti, artiglieri e cavalieri cosacchi del Don. Lo assistono valenti comandanti come i generali Andrej Rosenberg, Ivan Förster, Jakov Povalo-Shvejkovskij, Michail Miloradovic e soprattutto il principe Piotr Bagratiòn, che sarà poi tra i protagonisti della celeberrima battaglia di Borodino nel 1812, in cui verrà mortalmente ferito. Ad essi si unirà il granduca Costantino, figlio dello zar.
Le colonne scendono da Pontebba, attraversando Resiutta, Venzone, Osoppo e San Daniele. Raggiungono quegli stessi paesi che solo due anni prima avevano visto il passaggio delle trionfanti truppe di Napoleone guidate dal generale Massèna.
L’avvocato udinese Antonio Liruti (1737-1812) annota: “Agli 11 Aprile del 1799 una colonna dell’Armata Russa pervenne nella terra di San Daniele. I primi furono i cosacchi cavalleria. Poche ore dopo giunse il feldmaresciallo Suvòrov. Ricevette egli da una finestra gli “evviva” della truppa che sfilò sotto ai suoi occhi. Ed il giorno stesso partì da questo luogo. Questa prima colonna composta di 6 in 7 mila uomini passò il fiume Tagliamento felicemente. Le seguenti colonne furono in San Daniele arrestate dalla smodata escrescenza di detto fiume e dopo vari giorni si risolsero, in parte ad onta anche della cadente pioggia, di guadarlo. Per sollevare l’aggravata popolazione della suddetta terra, ai 21 di detto mese 1.500 cosacchi vennero in Udine e vi stazionarono nelle case fino alla mattina del 23” 1.
Le piogge davvero torrenziali ed incessanti a cui fa riferimento il cronista sono citate anche da altre fonti che documentano la distruzione del ponte sulla stretta fra Ragogna e Pinzano già il 12 aprile e la necessità di rendere immediatamente possibile il passaggio delle truppe mediante barche. La sosta forzata dei reparti nella zona collinare friulana è testimoniata negli archivi parrocchiali e dal carteggio del nobile Pietro Antonio Narducci (membro del Parlamento generale del Friuli e capitano della Comunità di San Daniele), conservato nella Bibilioteca Guarneriana2. Dalle fonti si apprende che i soldati fradici di pioggia accesero grandi fuochi per asciugarsi, provocando almeno in un paio di circostanze vasti incendi – alimentati dal vento, dal fieno su cui si coricavano i militari e dalla paglia per i cavalli – che comportarono la parziale distruzione del palazzo Mistruzzi a Venzone3 e di quello Cisternini a Spilimbergo4.
Molto spazio è dedicato alla descrizione di quanto avvenne nei paesi, obbligati a provvedere con ogni mezzo all’acquartieramento ed al sostentamento delle truppe e di migliaia di animali. Il carteggio del Narducci documenta la necessità di provvedere alla consegna di 26 cavalli per la scorta di Suvòrov e poi di “dar quartiere di notte”, assicurare “legna da fuoco” ed “il lume”, oltre a carne, pollame, verdure, uova, pesce, vino e naturalmente acquavite. E poi ancora carri e buoi. Ed è facile immaginare che le pur previste “quietanze” per i malcapitati cittadini vittime delle requisizioni siano poi state in gran parte inevase. Non mancarono neppure alcuni disordini da parte dei “villici” locali, come a Pers e Farla (frazioni di Majano) ad opera di “50 insurgenti” che si opponevano alla confisca di un paio di carri.
Particolarmente colorita e certamente non lusinghiera è la descrizione che fa dei reparti cosacchi e calmucchi Don Biagio Leoncini della parrocchia di Osoppo, i cui abitanti conobbero “danni e spasmi” di fronte ad un “vero flagello”, opera di “gente fiera e bestiale”… “di natura forte e per istinto ladri”… “amanti della polenta e dei fagioli”… “Calmucchi con barba lunga, con lancia, stocco lungo e pistole, spade e carabine”… “vestiti quasi alla turca”… “Per buona sorte che i cosacchi  facevano quaresima secondo il rito greco-ortodosso, altrimenti distruggevano tutto” 5. Da Spilimbergo le colonne attraversano Pordenone e Sacile prima di entrare in Veneto.
Nel suo “Giornale”, la nobildonna vicentina Ottavia Negri Velo (1764-1814) scrive: “…Essi arrivano a tutte le ore e pochi alla volta, con cere d’una salute da paesi freddi, e attraggono a vederli per la loro singolarità… In questo lungo cammino non ve ne fu pur uno di ammalato. Invece di banda militare cantano come una Sinagoga delle bellissime arie Greche, e il totale denota una truppa formidabile specialmente in fanteria. I Russi son buoni basta di non contrariarli e intenderli. …Il veder le aste, le pellicce, le barbe fanno inorridire, ma discerner cosa sono i Popoli del Nord formidabili sempre, in confronto dei meridionali… I Russi hanno un’aria invincibile.” 6.
In pochi giorni di marcia, nonostante le continue piogge, Suvòrov raggiunge il quartier generale alleato a Montebello Vicentino. Il 14 aprile è a Verona, accolto dalla popolazione come un liberatore. Poche ore per preparare i piani di battaglia e gli ottantamila alleati al comando del Feldmaresciallo iniziano la loro vittoriosa marcia. Sulle rive del fiume Adda sbaragliano ripetutamente i francesi, liberando Brescia (21 aprile), Bergamo e Milano (28 aprile), città in cui Suvòrov è solennemente accolto sul sagrato del Duomo. Poi è la volta di Torino, conquistata il 26 maggio. A giugno un’altra clamorosa vittoria nella battaglia del fiume Trebbia consente la presa di Mantova ed Alessandria. Il condottiero è nominato Principe d’Italia e di Casa Savoia, Maresciallo del Regno di Sardegna. Il 15 agosto l’ennesimo trionfo nello scontro di Novi Ligure, che costa la vita allo sconfitto generale francese Joubert. L’intera Italia del Nord è libera, tranne Genova.
A questo punto la fama di Suvòrov è enorme, osannato in tutta Europa come un eroe invincibile. Vorrebbe inseguire i francesi sul loro stesso territorio e marciare fino a Parigi. Napoleone è impegnato nella campagna d’Egitto contro gli inglesi ed il progetto è tutt’altro che velleitario.
Le sue vittorie però preoccupano ora anche austriaci ed inglesi. A bloccarlo è pure lo zar Paolo, probabilmente geloso del suo successo e privo di una vera strategia in Europa. E così, tra le trame delle cancellerie, ecco l’ordine di lasciare l’Italia, dirigere le truppe russe in Svizzera, per liberare anch’essa dal dominio francese, e ricongiungersi con quelle del generale Rimskij-Korsakov, là già stanziate. In sei giorni i russi percorrono 150 km, da Alessandria al Canton Ticino. In terra svizzera Suvòrov scopre però di essere stato tradito dagli austriaci, non trovando i 1.400 muli promessi per la marcia sui sentieri alpini e constatando l’inesattezza di fondamentali informazioni topografiche ricevute.
Il 21 settembre 1799 inizia per lui ed i suoi soldati un’epopea degna del grande Annibale, in cui tutte le virtù umane e militari di Suvòrov emergono nella loro grandezza. A quasi 70 anni, un’età di gran lunga superiore alla media dell’epoca, guida i suoi uomini con incrollabile fede, eccezionale carisma, tenacia, senso dell’onore e del dovere. I soldati lo seguono ciecamente, riconoscendo in lui un padre che accetta di scendere da cavallo per marciare con loro, che dorme nella paglia e nella neve, che è il primo a svegliarsi alle luci dell’alba, che chiede di ricevere la loro stessa paga.
L’attraversamento del Passo del San Gottardo e la battaglia sul “Ponte del Diavolo” nella gola del fiume Reuss sono e rimarranno sempre nella Storia. Quando tutti in Europa attendono di ricevere la notizia della sua prima sconfitta e forse della sua morte, Suvòrov compie una sorta di miracolo militare, riuscendo a rompere in condizioni estreme l’accerchiamento francese e proseguendo per giorni la marcia su sentieri d’alta montagna intagliati nella roccia, a strapiombo, innevati, esposti a forti venti e ripetute cascate d’acqua.
In suo aiuto non arriveranno mai le truppe di Korsakov, sconfitto alle porte di Zurigo, ma solo quelle del generale Rosenberg, che gli coprono le spalle, capaci di infliggere l’ennesima dura lezione ai francesi, il cui comandante Andrè Massèna sfugge letteralmente per pochi centimetri alla cattura. Quasi del tutto privi di cibo, di munizioni e cavalli, costretti ad abbandonare anche i pezzi d’artiglieria, i soldati di Suvòrov attraversano i passi del Kinzig, del Pragel ed infine il Panix, a 2.400 metri, in mezzo ad una tempesta di grandine e neve, ultimo ostacolo naturale che li separa da Coira e poi dall’ingresso nella regione austriaca del Voralberg, attraverso il Liechtenstein, il 12 ottobre 1799. Le loro perdite ammontano a circa cinquemila uomini, un quarto di quelle nemiche. Moltissimi prigionieri francesi vengono liberati affinché possano testimoniare essi stessi quanto di eroico è stato compiuto da Suvòrov e dai suoi uomini sulle Alpi svizzere. Raggiunta la Baviera, i russi attendono ora di conoscere la volontà dello zar. Paolo I, visto il comportamento dell’alleato, decide di rompere l’intesa con l’Austria e di richiamare Suvòrov in Patria, conferendogli il titolo di “Generalissimo” delle forze terrestri e navali russe. Dopo una lunga ed estenuante marcia attraverso Austria, Boemia e Polonia, l’anziano eroe raggiunge la Russia nella primavera del 1800. Si pensa che venga ricevuto nella capitale dell’impero con gli onori più solenni ed invece, complice anche la malattia, non incontra neppure lo zar, spegnendosi a San Pietroburgo il 18 maggio. Le autorità non diffondono la notizia della sua morte. Tuttavia una folla enorme lo accompagna per la sepoltura nella Chiesa dell’Annunciazione del Monastero “Aleksandr Nevskij”. Ed è lì che ancor oggi riposa, identificato dalla semplice incisione sul marmo “Qui giace Suvòrov”, come egli stesso aveva desiderato. La sua eterna gloria vive nel profondo patriottismo del popolo russo e nello spirito dei suoi giovanissimi eredi, i “suvòrovzj”, ovvero gli allievi dei collegi militari a lui intitolati, i più prestigiosi di Russia. Ogni anno a loro è impartita la solenne benedizione del Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, nel corso della cerimonia che ha luogo nella Cattedrale di Cristo Salvatore, consacrata nel 1883 proprio per celebrare la vittoria su Napoleone, distrutta dalla dinamite di Stalin nel 1931 ed ora ricostruita esattamente dov’era e com’era, in tutta la sua grandiosa bellezza.

Jurij Cozianin

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