Nell’affollato panorama delle centinaia e centinaia di premi di poesia che si celebrano annualmente in Italia, una decina almeno tra Friuli e Venezia Giulia, quello promosso dall’Accademia Città di Udine, con la dodicesima edizione lasciata da poco alla spalle, si è costruita nel tempo una sua garbata identità. Suo tratto distintivo è la pubblicazione in volume di tutti i testi che pervengono in esame alla giuria, prassi che assume una pluralità di valenze. Oltre alla gratificazione assicurata a quanti si cimentano nella scrittura creativa, l’annuale silloge, tramite il gioco del confronti che accende, stimola una perdurante riflessione sulle forme poetiche, fautrice di un indubbio affinamento della qualità espressiva. Attorno al Premio si è aggregata una comunità amicale di dialoganti all’insegna della poesia, dove con semplicità si toccano i grandi temi del fare artistico. La poesia è linguaggio sempre rinverdito che nulla esclude dal suo orizzonte. Avvizzisce, se pigramente ricorre a parole ritenute poetiche ad orecchio o per banale abitudine. Ignora il volo, se si riduce al grezzo reperto di una confessione da diario. Annaspa, se si sbilancia in modo eclatante verso il moralismo e l’ideologia. La poesia è un equilibrio tra significanti e significati, realizzato in modi sempre originali da chi riesce a dare armonica forma a quell’emozione irradiante, dalla quale provengono l’esigenza del canto, il rapimento del ritmo, nonché il graduale svelamento di un segreto che si cerca e alla fine si dichiara alla luce. Quando si giunge a tale meta, allora il dettato diventa prisma cristallino che scompone e ricompone in unità l’effimero e il duraturo, il concreto e l’ideale, l’individuale impronta, gli archetipi e il sentire condiviso.
Il Premio di cui stiamo parlando, del quale ideatrice e animatrice è Francesca Rodighiero, si intitola a una lontana storia d’amore, forse vera, o solo affabulata, intercorsa tra l’udinese Lucina di Savorgnan e Luigi Da Porto, uomo d’armi e scrittore vicentino. Costui è autore di una novella pubblicata postuma attorno al 1530 a Venezia con il titolo di Istoria novellamente ritrovata di due nobili amanti, in sintesi Giulietta e Romeo. Vi si racconta l’intreccio dei casi dei celeberrimi amanti veronesi, intreccio ripreso poi da Matteo Bandello, quindi pervenuto a Shakespeare che ne diede la rappresentazione più alta.
L’italianista inglese Cecil H. Cluogh, curatore di una esaustiva edizione delle Lettere del Da Porto, ha creduto di poter sostenere che la novella in oggetto avesse un forte fondamento autobiografico, spia diretta o appena criptata, della relazione dell’autore, avversata dal destino, con la assai giovane nobildonna dei Savorgnan: supposizione, anzi affermazione accattivante per Udine, anche se deboluccia nell’impianto argomentativo. Vediamo i fatti sul piano della letteratura, solo ambito che ci interessa.
La novella fu dedicata a Madonna Lucina Savorgnan «per lo stretto vincolo di consanguinitade e dolce amistà» intercorrente tra i due, che erano cugini. La dedica, commossa e allusiva, e qualche frase contestualizzante la situazione narrativa d’avvio (un trasferimento da Gradisca a Udine nel 1511) sono i cardini sui quali poggia l’inferenza che si conclude dicendo come in Romeo e in Giulietta fosse dichiarato qualcosa di personale: «partendo io da Gradisca, ove in alloggiamenti stava… forse d’amore sospinto, verso Udine venendo… e molto dal pensiero oppresso, accostatomi al detto Peregrino, come quello che i miei pensieri indovinava, così mi disse – Volete voi sempre in trista vita vivere perché una bella crudele… poco vi ami?». L’arciere Peregrino, per distrarre il suo superiore dall’assillo amoroso, cammino facendo, con piglio d’attore gli evocò le traversie di due amanti «a misera e pietosa morte» condotti, esordendo: «Nel tempo che Bartolomeo della Scala… il freno alla mia bella patria [Verona] strignea e rallentava, furono in lei due nobilissime famiglie per contraria fazione… nemiche, l’una i Cappelletti, l’altra i Montecchi nominata». Il Da Porto quindi finge di dare struttura e compiutezza a qualcosa di ascoltato. Tale artificio esemplifica bene la consuetudine tipica della novellistica rinascimentale di ricorrere all’inquadramento delle sue storie in una cornice generale, memoria del Decameron, o di corredarle con lettere esplicative indirizzate ai destinatari prescelti.
Se Giulietta e Romeo nel regno della poesia restano indubitabilmente veronesi, nulla vieta tuttavia di immaginare che impulso e sostanza nella elaborazione del tema, comunque già di lunga tradizione, si pensi almeno al quattrocentesco Masuccio Salernitano, siano stati offerti a Luigi Da Porto anche dal suo vissuto. Per questo, collegando personaggi eterni dell’arte e labili eppur plausibili emergenze storiche e biografiche, con mossa felice il Premio Internazionale di Poesia dell’Accademia Città di Udine nel suo logo ha intrecciato i nomi di Romeo e Giulietta, di Luigi e Lucina, circoscritti da un cuore, simbolo universale dell’amore.
GIANFRANCO SCIALINO