La Danza Macabra

La Danza Macabra è la manifestazione medievale della caducità della vita umana e del trionfo della morte realizzata attraverso un tema iconografico in cui danzano uomini e scheletri. Esprime il concetto, spesso dimenticato, che di fronte alla morte siamo tutti uguali, senza eccezioni. Umili e potenti non possono sottrarsi all’ineluttabile momento in cui arriva la fine della nostra esistenza. Nel Tardo medioevo il monito latino “memento mori”, cioè ricordati che devi morire, fu rappresentato soprattutto con affreschi dipinti di solito nei luoghi di culto, come chiese e cappelle votive, oppure chiostri e ossari. Gli affreschi che riproducono la danza macabra sono numerosi in Europa, sparsi in Italia, Francia, Germania e nei paesi nordici. Questi dipinti di solito rappresentano un corteo con diversi personaggi appartenenti a tutte le classi sociali che si trovano, prima o dopo, a dover pagare il debito con la Signora dal mantello nero e la falce. Questo genere d’arte nacque in Francia intorno al XV secolo, divenendo sempre più popolare, sviluppandosi maggiormente come affresco e in qualche caso anche come incisione inserita nei testi. Sembra che la diffusione del tema sia avvenuta in conseguenza delle terribili nefaste condizioni di vita causate dalle pestilenze che infuriarono in quel periodo in tutto il Vecchio Continente. La Danza Macabra del cimitero degli Innocenti a Parigi, dipinta nel 1424, ma purtroppo andata distrutta e conosciuta soltanto grazie a una riproduzione pubblicata 60 anni dopo, fu probabilmente il primo esempio di questa tradizione artistica.

“Il trionfo della morte”, abbazia di Clusone
“Il trionfo della morte”, abbazia di Clusone

Le più famose danze macabre europee sono tre, di cui due si trovano in Francia, precisamente in Bretagna a Plohua e a Kernascléden e una in Alto Adige a Sesto in Val Pusteria. La più nota In Italia, la più nota rimane tuttavia quella che appare sul muro esterno dell’Oratorio della basilica di Clusone in Val Seriana, alcuni chilometri dopo Bergamo.
A Sesto al Reghena, cittadina del pordenonese ai confini con il Veneto, si trova un’abbazia benedettina fondata nell’VIII secolo lungo le rive del fiume, alla quale si accede attraverso un’imponente torre d’ingresso. In seguito la costruzione fu più volte rimaneggiata e ampliata, entrando a far parte dei complessi che prima insistettero nella giurisdizione dei Patriarchi di Aquileia e poi della Serenissima, come ricorda il leone di San Marco apposto sulla facciata. Nell’atrio romanico che precede la Chiesetta di Santa Maria in Sylvis, nella cui sottostante cripta è conservato il sarcofago di Santa Anastasia, si possono vedere i resti di una piccola, purtroppo molto rovinata, danza macabra. Ė il trionfo della morte, un affresco chiamato “Tre vivi e tre morti” in quanto ritrae tre cavalieri che indicano tre bare a significare l’ineluttabile destino di ogni uomo. Si tratta dell’unica raffigurazione del genere esistente in Friuli. Sesto al Reghena è un centro molto antico, di origine romana come fa intendere il suo nome che richiama la sesta pietra miliare posta sulla strada che si dipartiva da quella proveniente da Aquileia. Alcuni secoli più tardi nel sito venne eretta l’abbazia che assunse grande importanza durante il ’700 con l’abate Giusto Fontanini, il cui stemma è impresso sotto il portico antistante l’edificio. Sulle pareti del vestibolo che precede il luogo sacro, oltre alla danza macabra si possono ammirare altri due grandi affreschi di arte allegorica con scene del Paradiso e dell’Inferno e un altro dipinto con scene cavalleresche ispirate alla “Chanson de Roland”. All’interno della chiesa sono presenti le pitture che coprono tutta l’abside mentre la parete di destra è coperta da un interessante albero della vita sui cui rami sono appesi dei melograni (questo frutto è il simbolo di fertilità e quindi della vita) con accanto le immagini dei profeti e dei quattro evangelisti.
Nella vicina Slovenia, nel paese di Hrastovjlie sulle alture dell’entroterra capodistriano, all’interno di una chiesetta con alto campanile dedicata alla S.S. Trinità, circondata da antiche mura che fanno sembrare l’insieme una specie di castrum fortificato, sopraelevato rispetto ai vigneti circostanti, affreschi ben conservati coprono tutte le pareti e il soffitto. Rappresentano momenti della Creazione e dell’Annunciazione, storie della Genesi, la Passione di Cristo, l’Adorazione dei magi e i Dodici Apostoli. Sono raffigurati anche i mesi del calendario, Santi e Profeti. Come accadde spesso nel medioevo, le immagini furono utilizzate per raccontare al popolo analfabeta gli avvenimenti contenuti nella Bibbia. Il pezzo forte peraltro si trova sulla parete di sinistra della navata centrale e consta di una danza macabra fra le meglio conservate in Europa. Una teoria di personaggi comprendente borghesi e mendicanti, ma anche l’imperatore, il papa, un re e un vescovo, allineati uno dietro l’altro, tutti uguali davanti alla morte che li attende.

La “Danza Macabra” di Hrastovlje
La “Danza Macabra” di Hrastovlje

La buona qualità dei dipinti, risalenti al periodo tardo gotico, si deve a una fortunata circostanza. Durante una perniciosa pestilenza, per motivi igienici, le pareti della chiesetta e tutte le pitture furono coperte con calce che ne preservò la stupenda qualità. Soltanto in anni recenti uno studioso, consultando antichi testi storici, intuì la presenza degli affreschi e, con una opportuna pulizia, li fece tornare alla luce. L’opera pittorica, databile al 1490, quando la città di Capodistria e tutto il suo territorio era da tempo dominata dalla Repubblica di Venezia, è attribuita all’istriano Johannes de Castuo che la completò inserendo anche interessanti scritte in caratteri glagolitici, l’antico alfabeto slavo ecclesiastico creato dai fratelli missionari Cirillo e Metodio nel IX secolo per tradurre i testi sacri e praticato, con diritto di utilizzo concesso da papa Innocenzo IV, anche nella liturgia cattolica dei soli croati.

Bernardino de Hassek

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