Passato e presente del castello di Pielungo

Le acque dell’Arzino sono fredde e cristalline, da sempre. Nitidi sono in me i ricordi e le sensazioni delle ore estive trascorse da bambino sul suo greto. A Pert per un prudente bagno rinfrescante oppure a Flagogna, tra il Ponte dell’Armistizio e quello ferroviario, in curiosa attesa che qualche trota fario o marmorata, affamata e di “misura” consentita, abboccasse all’amo della canna da pesca che mani più forti ed esperte delle mie tenevano pazientemente stretta, in rigoroso e fiducioso silenzio, a volte interrotto solo dal fugace ed entusiasmante passaggio dell’intramontabile “Littorina” pedemontana, all’epoca ancora attiva e a me molto cara.
La selvaggia bellezza dell’incontaminato torrente, particolarmente ammirata nelle cascate prossime alla sua sorgente e nelle profonde pozze smeraldine di Cerdevol Curnila, offre autentici scorci di paradiso a tutti gli amanti della natura ed agli appassionati di canoa, kayak e snorkeling.
Oltre allo straordinario valore naturalistico, anche in Val d’Arzino, come nelle limitrofe Val Cosa e Val Tramontina, i luoghi conservano la forza di rievocare i fatti lontani di cui sono stati testimoni e far sentire ancora vivi gli uomini a cui sono associati, in uno scrigno di borgate sparse, arrampicate sui monti, lontane dalle grandi vie del traffico e dal rumore.
L’ardita Strada Regina Margherita1, che nel 1891 le salvò dall’isolamento e che ancor oggi consente di percorrere la stretta valle, deve la sua esistenza alla caparbia, generosa e lungimirante volontà di un grande friulano, rimasto sempre legato alle proprie radici. Giacomo Ceconi era infatti nato a Pielungo (all’epoca Canale di Vito d’Asio) nel 1833, da un’umile famiglia montanara, prima di intraprendere, da Trieste, una brillante carriera che ne fece uno dei più geniali ed illustri costruttori dell’Impero Asburgico. La prodigiosa realizzazione di innumerevoli stazioni, viadotti, gallerie e monumentali trafori ferroviari in Carinzia, Slovenia, Croazia, Ungheria, Boemia, Baviera, Tirolo ed Italia gli valsero sia il diploma di nobiltà da parte di Francesco Giuseppe I Imperatore d’Austria sia il conferimento del titolo di “Conte di Montececon” da Umberto I Re d’Italia.
Come in una fiaba, la modesta casa dal tetto in paglia nella natìa Val Nespolaria si trasformò a fine Ottocento in una sontuosa villa signorile e poi in un autentico castello, degno della fama e del rango del suo benemerito proprietario, impegnato nell’ultimo scorcio di vita nella realizzazione, a proprie spese e spesso al di sopra di ottusi campanilismi, di molteplici opere ed infrastrutture a pubblico beneficio della comunità locale, di cui fu a lungo anche sindaco.
Adagiato ai piedi del Monte Cecon e con alle spalle la sovrastante cresta del Flagjel, il maniero è collocato all’interno della grande foresta di circa 1.200 ettari, ora di proprietà e tutela regionale, che il Conte volle creare con una straordinaria opera di rimboschimento, particolarmente importante in un’area soggetta a frane ricorrenti.
Ad oltre un secolo di distanza dalla sua originaria realizzazione, dall’esterno il castello conserva intatto ai miei occhi, peraltro del tutto “incompetenti” in materia architettonica ed artistica, il suo fascino. Evidentemente, le vicissitudini della Storia, le distruzioni e le demolizioni subite, incluse quelle causate dal disastroso sisma del 1976, i successivi rifacimenti ed i necessari restauri non ne hanno intaccato lo “spirito”.
All’ingresso, la targa apposta dai “Fazzoletti verdi” delle Brigate Osoppo-Friuli ricorda al visitatore i sacrifici dei duri giorni della Lotta di Liberazione. Il castello ne fu testimone, diventando per alcuni mesi la sede del comando partigiano osovano, prima che un improvviso attacco tedesco ne determinasse il rovinoso incendio nel luglio del 1944, fatale per le strutture in legno, i rivestimenti e gran parte degli interni.
Le memorie partigiane, ascoltate, lette ed associate ad intimi affetti, mi conducono ancora in questi luoghi. Percorrendone strade e sentieri, la vista dei boschi di pino nero, abeti rossi e larici, delle ampie faggete, dei bianchi massi sporgenti e delle ripide pareti rocciose mi trasmette sempre un’emozione particolare. A pochi metri dal castello ha inizio la carrareccia sterrata e a tratti ciottolata che, snodandosi tra i monti Cecon, Taiet e Rossa, conduce alle malghe (Albareit, Battistin, Rossa e Jovet) che il Conte Ceconi aveva voluto inserire nel suo generoso ed ambizioso progetto di sviluppare la moderna zootecnia nella valle, al pari di quella più ampia costruita tra i pascoli del Monte Pala, poco più a Sud. Utilizzate dai partigiani, le casere furono distrutte o bruciate dai nazifascisti nel corso dei grandi rastrellamenti dell’inverno ’44. Alcune sono state in parte ricostruite, a beneficio degli escursionisti. Negli “anni d’oro”, l’allevamento delle mucche avveniva anche nelle stalle adiacenti al castello, all’epoca dotato anche di un caseificio e delle scuderie.

Una suggestiva veduta notturna del castello di Pielungo (© Graphistudio).

Superato il cancello in ferro battuto, opera del maestro udinese Alberto Calligaris, il viale d’ingresso separa l’impeccabile prato dai gradoni in pietra che un tempo delimitavano i frutteti cari al Conte. La grande fontana circolare, in cemento e a due piani concentrici, posta nello spiazzo antistante, riflette la mole ambrata del castello, le sue torri ed i merli ghibellini. L’incantevole dimora è neogotica dallo stile eclettico, con venature di liberty, elementi medioevali e rinascimentali. Il loro bizzarro sovrapporsi sorprende quanto la stravagante scelta degli illustri personaggi storici che compaiono sulla facciata principale, sormontata dallo stemma araldico del Conte. La decorano le severe statue bianche di quattro celebri poeti (Ariosto, Petrarca, Dante e Tasso), scolpite dallo scultore Alfonso Canciani. Nelle lunette sopra il portale, l’affresco della Madonna col Bambino è affiancato da quelli dedicati a George Stephenson, il “padre” della locomotiva a vapore, ed Alessandro Volta. Nell’ordine superiore, sono invece raffigurati la poetessa Vittoria Colonna, Leonardo da Vinci e la pittrice Irene da Spilimbergo. La curiosa rassegna include anche Alessandro Manzoni e San Giorgio, le cui effigi sono riprodotte su due dei torrioni laterali.
Per la visita agli interni ad accogliermi c’è Francesco Leschiutta, dirigente della Graphistudio SpA di Arba, eccellenza friulana leader nel mercato mondiale della fotografia matrimoniale, dal 2008 proprietaria del castello e dell’area forestale circostante2. La cortese e preziosa “guida” mi conferma che degli interni originali si sono conservati solo due bagni e l’affresco decorativo del soffitto dell’ultimo piano del castello, riservato agli appartamenti privati degli attuali proprietari. Si possono così solo immaginare “le decorazioni ed i mobili, fabbricati a Milano, di una magnificenza veramente sontuosa”, “il vestibolo splendidamente illuminato”, le sale e le stanze affrescate dal gemonese Francesco Barazzutti, riscaldate a legna da grandi stufe in maiolica ed illuminate grazie all’energia elettrica prodotta sfruttando le acque della sorgente “Agaviva”. Al pari dell’ampia sala da pranzo, al pianterreno, in cui risaltavano i grandi ritratti di Vittorio Emanuele II, Garibaldi, Umberto I e Margherita di Savoia, opere dei noti pittori triestini Antonio Lonza ed Eugenio Scomparini. Si sono altresì perse la stanza museale in cui il Conte conservava molti suoi cimeli e la Cappella di famiglia dedicata a San Giacomo.
La nuova destinazione d’uso del castello spiega la funzione delle sale, dotate delle più moderne tecnologie audiovisive. Sede di rappresentanza e, a breve, del dipartimento di ricerca e sviluppo della Graphistudio, il maniero ospita mostre, seminari, workshops e corsi per fotografi professionisti ed operatori dell’immagine. Un luogo d’eccellenza, d’incontro, formazione ed ispirazione, dedicato ad una mirabile forma d’arte, alla creatività ed al design, sotto l’egida della neonata Accademia di Fotografia intitolata al Conte Ceconi.
Il respiro ed il prestigio internazionali del progetto, sviluppato in ogni dettaglio con estrema professionalità ed altrettanta determinazione, appaiono degni dello spirito e della personalità dell’illustre costruttore. Deposto nel sepolcreto curato dai suoi più diretti discendenti, i Lusser residenti in Svizzera, Giacomo Ceconi ne sarebbe certamente orgoglioso, felice di sapere che, grazie al castello ed alla strada da lui voluti e costruiti, la sua amata Val d’Arzino è visitata dai migliori fotografi d’Europa e del mondo.

JURIJ COZIANIN


[1] Intitolata a Margherita di Savoia (1851-1926) , Regina d’Italia e consorte del Re Umberto I, la strada venne inaugurata il 14 Novembre 1891. La cronaca dettagliata dell’avvenimento è contenuta nelle edizioni de “Il Giornale di Udine” e “La Patria del Friuli”, pubblicate tra il 12 ed il 18 novembre 1891, consultabili online nella Sezione Friulana della Biblioteca Civica “Vincenzo Joppi” di Udine (periodicifriuli.sbhu.it).
[2] Si ringrazia la Graphistudio Spa, nella persona di Francesco Leschiutta, per la cortese e preziosa collaborazione prestata ai fini della stesura del presente articolo e per la gentile concessione alla pubblicazione delle fotografie che lo corredano.

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